venerdì 12 settembre 2014

Se l'Isis fa paura è ora di chiudere le frontiere

Confessiamo di essere perplessi dopo aver udito le dichiarazioni di Angelino Alfano, secondo il quale l'Isis, che non è un istituto agrario, ma una banda di bastardi, costituisce un pericolo per l'umanità e soprattutto per l'Italia, dato che 48 estremisti, specializzati nella decapitazione di cristiani, si sarebbero formati nel nostro ospitale Paese.
Sarà vero oppure no che le cose stanno così? In un impeto di generosità, fingiamo di credere che il ministro degli Interni abbia ragione.
Diamo cioè per scontato che una cinquantina di provetti tagliatori di teste siano stati allevati dalle nostre parti. E allora ci domandiamo: come è stato possibile che la nostra immacolata patria abbia contribuito a creare un simile squadrone della morte che agisce nel nome di Allah, ovvero di un Dio che con la nostra tradizione cattolica non ha nulla a che vedere?
Evidentemente, nell'aprire le frontiere allo straniero ci siamo un po' distratti, consentendo a cani e porci, soprattutto porci, di stabilirsi qui e di intraprendere sulla nostra terra la carriera di boia da esportazione nel vicino Oriente. Apprendere da una fonte ufficiale, quale è il Viminale, che il Belpaese è stato ed è ancora, forse, una culla di terroristi, non ci rincuora. Anzi. Ci fa venire i brividi. E ci domandiamo con una certa inquietudine per quale strano e arcano motivo uno Stato sovrano abbia potuto chiudere un occhio, se non entrambi, nel concedere il permesso di soggiorno a tanti criminali islamici, che non avevano l'intento di integrarsi nella nostra civiltà, bensì quello di combatterla con violenza, ossia agendo di coltello sul collo di coloro che considerano Maometto un pistola qualsiasi.
Domanda: constatato che gli estremisti di Allah ce l'hanno a morte con noi, perché non impediamo loro di stabilirsi nella penisola? Perché non approviamo un provvedimento in base al quale è vietato agli islamici - buoni o cattivi che siano - di immigrare in Italia? Chi ci proibisce di respingerli e di rispedirli a casa loro? D'accordo, esistono problemi umanitari. Non è carino né gentile abbandonare al loro destino extracomunitari che bussano alle nostre porte per salvarsi dalla miseria e da regimi dittatoriali crudeli. Ma non è neanche prudente consentire che costoro - i peggiori - vengano qui, usufruiscano del nostro sistema di soccorso e poi si ingegnino per organizzare sul territorio delle «scuole» di terrorismo, atte ad addestrare gente da utilizzare per compiere massacri.
Il lettore obietterà: come si fa a distinguere gli immigrati bene intenzionati da quelli, viceversa, che meditano di sterminare chi non la pensa come loro sulla religione? Nel dubbio non rimane che una scelta drastica: sbarrare i confini a chiunque provenga da zone ad alta densità di musulmani. Il rischio è di penalizzare gli stranieri animati da buoni sentimenti, confondendoli con quelli di indole violenta. Ne siamo consapevoli. Ma di fronte al pericolo di inserire nella nostra società gente che punta a distruggerci, conviene adottare metodi severi e categorici: fuori tutti dai piedi. Blocco totale degli ingressi dei musulmani.
Guerra di religione? Sia quel che sia. Data la situazione critica, è opportuno non essere teneri con alcuno: l'immigrazione dal Medio Oriente e dall'Africa islamica non è più legale. Fine della fiera. Ciascuno si arrangi come può. I musulmani rimangano nei loro deserti e diano lì pieno sfogo ai loro ideali religiosi, mentre noi badiamo a conservare quel poco che rimane della nostra civiltà. Mischiare le carte non va bene. Non ha senso. Provoca attriti e incomprensioni. La cosiddetta integrazione non è possibile tra persone che non hanno nulla in comune se non un odio sordo covato per secoli.
In fondo non è difficile escogitare una soluzione finale: ciascuno stia a casa propria, con le proprie manie, le proprie credenze, i propri pregiudizi. Altro che guerre, sempre inutili e peggiorative della situazione. Noi ci impegniamo a non interferire più nelle vicende mediorientali e i musulmani evitino di venire qui a sovvertire le nostre costumanze. La prima regola per scongiurare conflitti è la seguente: ogni popolo si faccia gli affari suoi.
Fonte:http://www.ilgiornale.it/

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