Matteo Renzi, nelle vesti di sicario del territorio italiano, con l’ormai nota dichiarazione di sfida: «Perderò qualche voto, ma la norma la faccio per tirar su il greggio dalla Basilicata e dalla Sicilia, anzi l’ho già fatta! Vada come deve andare!» (dalle Rubinetterie Bresciane, Gussago – BS – il 6 Settembre 2014), non fa altro che dare seguito, seppur con maggiore piglio ed arroganza, al patto scellerato con i petrolieri.
Fingendo di non sapere delle quantità di petrolio e di gas estratte ogni giorno da decenni nei nostri territori, la sua si rivela un’azione di servizio e propaganda rispetto a quanto già stampato a lettere di fuoco nella SEN (Strategia Energetica Nazionale), che prevede il raddoppio delle trivellazioni in Italia, in primis in Basilicata ed in Sicilia; un’azione che dà seguito a quanto previsto dal programma (c.d. “sviluppo Italia”) messo in campo già dal Governo Monti-Passera, con l’approvazione dell’art. 35 del DL 83/2012, facendo seguito al famigerato art 16 del c.d. “decreto per le liberalizzazioni” del marzo dello stesso anno.
Col governo Renzi viene a completa maturazione il ruolo di totale subordinazione assunto dagli esecutivi e dai loro partiti di riferimento nel corso degli ultimi anni. Lo Stato ha da un bel pezzo abdicato all’esercizio di un ruolo “indipendente” sul piano della ricerca di linee strategiche di sviluppo, trasformandosi in mero esecutore di interessi e di scelte che sono ormai saldamente monopolio della petrofinanza.
Le fonti fossili di Basilicata e Sicilia rappresentano anzitutto un valore finanziario, in virtù della necessità per i grandi monopoli e per le grandi banche d’investimento di proiettare costantemente progetti finalizzati all’investimento azionario ed al controllo geopolitico. Basta dare uno sguardo a quanto sta accadendo tra Russia ed Ucraina, nei paesi del Nord Africa, nel vicino Oriente, o al costante braccio di ferro di carattere geostrategico che contrappone i progetti di condotte del gas Nabucco, South Stream, Tap, per comprendere la centralità della questione energetica nella rideterminazione delle alleanze, degli scenari economici dominanti, nella stessa collaborazione militare, con tutto ciò che ne consegue sul piano degli investimenti di guerra e dei rapporti interimperialisti.
Il governo Renzi contribuisce, in nome della supposta funzione antirecessiva dei benefici finanziari ipotizzati dagli investimenti finalizzati alla ricerca ed alla coltivazione di idrocarburi, a rendere secondario ed obsoleto, nell’immaginario collettivo, il fatto che le operazioni di estrazione e trattamento di idrocarburi sono invasive e potenzialmente rischiose sia per l’ambiente che per la salute umana ed animale, così come per l’aumento delle emissioni in atmosfera.
Sotto gli occhi di tutti lo scempio delle aree sottoposte ad estrazioni, che sono fra le più povere d’Italia. La piana di Gela, con i parossistici livelli di inquinamento ed il rischio incombente di 3.500 licenziamenti ne è un triste esempio. Lo spavaldo maestro della promozione del fossile, perseguendo una politica di stampo neoliberista, non tiene conto (anzi nasconde) in accordo con tutta la stampa nazionale, del V° rapporto dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), organo dell’Onu, pubblicato all’inizio del 2014. Il I° rapporto di 25 anni fa, la cui istituzione si avvale di oltre 2500 scienziati e centri di ricerca sul clima in tutto il mondo, portò agli accordi di Kioto firmati l’11 dicembre 1997.
Gli Stati Uniti ne hanno fatto carta straccia (il guerrafondaio George Bush jr, da buon petroliere, preferì disdire tali accordi, firmati da Clinton ma mai ratificati dal Congresso, per aprire la stagione delle guerre in Medio Oriente, per l’accaparramento del petrolio). Il V° rapporto denunzia che nei primi dieci anni del secolo l’incremento delle immissioni dannose per il clima è stato tale da anticipare al 2030 rispetto al 2050, come previsto nel I° rapporto, il raggiungimento del punto oltre il quale non sarà più possibile limitare il riscaldamento globale entro i 2 gradi centigradi e le conseguenze in termini di vite umane ed animali ed i costi per l’economia mondiale diventeranno incalcolabili.
Il grande imbonitore del fossile a tutti i costi forse non sa, o probabilmente fa finta di non sapere, che il mar Mediterraneo è un piccolo mare semichiuso,pertanto vulnerabile nel suo complesso agli effetti che le attività di esplorazione (air-gun) e di coltivazione di idrocarburi ( i fanghi ed i fluidi perforanti sono costituiti da oli sintetici con un certo grado di tossicità, che per prassi ordinaria vengono rigettati nelle acque) potrebbero produrre in qualunque punto del mare in cui si attuerebbero estrazioni.
A fronte di ciò lo Stato italiano non ha ancora recepito la direttiva europea 2013/30/UE e le norme incluse nella convenzione di Barcellona, per la definizione e l’adozione di regole
Ricordiamo inoltre che in Italia alle multinazionali petrolifere viene garantito un regime normativo favorevole alla riproduzione di crescenti profitti, visto che non viene intaccato il predominio delle quote del “dichiarato” estratto, al netto del gettito fiscale e dei costi estrattivi. Alle articolazioni decentrate dello Stato italiano (regioni e comuni) spetta il “concesso” 10% sotto forma di royalties (per le estrazioni in terraferma è applicata un’aliquota di royalties del 10% sulle quantità di petrolio e gas estratti, mentre per le estrazioni offshore le royalties si differenziano in due aliquote: 10% sulla quantità di gas naturale estratto e 7% sul petrolio), oltre al vantaggio che le stesse società hanno sulle franchigie petrolifere: le prime 50 mila tonnellate di olio prodotte annualmente in mare, cosi come i primi 80 milioni di metri cubi di gas, sono esenti dal pagamento di aliquote allo Stato. Con tali vantaggiose condizioni, è aperta alla grande l’assalto al Canale di Sicilia, dove tre piattaforme posizionate lungo le coste estraggono già il 62% di tutto il greggio ricavato dai fondali italiani.
Con l’avallo di politici, amministratori locali, Confindustria, sindacati compiacenti, l’ dello “Sblocca Italia” (ora Decreto-Legge n.133, pubblicato in G.U. il 12 settembre ’14) consente di sguinzagliare fameliche trivelle nei bracci marini ancora scoperti, beffando aree protette e limiti autorizzativi.
15 nuovi pozzi, 5 permessi di ricerca in vigore nel tratto costiero compreso tra Licata e Pantelleria; 10 richieste di permesso per altri 4mila kmq: uno in fase decisoria a sud di Capo Passero, 8 in corso di valutazione ambientale, uno nel tratto di mare tra Marsala e Mazara del Vallo in fase iniziale dell’iter autorizzativo.
Ai primi di giugno Assomineraria, Eni Med Spa, Edison Idrocarburi Sicilia Srl, Irminio Srl ed il presidente regionale ed ex dipendente ENI Crocetta, hanno siglato un protocollo d’intesa da 2,4 miliardi di euro che prevede il rilancio degli investimenti per “l’utilizzo razionale di gas ed idrocarburi in Sicilia”, con l’istituzione di un comitato finalizzato “all’accelerazione degli investimenti nel campo petrolifero“. Il governatore Crocetta dichiara che “con questo accordo contribuiamo al rilancio economico della Sicilia, al miglioramento della situazione finanziaria per effetto dell’incremento delle entrate relative alle royalties, alla fiscalità e diamo una risposta di tipo innovativo che rilancia fortemente l’occupazione con un progetto di investimenti eco sostenibili”. L’impegno è quindi quello di agevolare nuove trivellazioni in Sicilia in cambio delle effimere e ridottissime royalties, che il famoso governatore voltafaccia (pensiamo al clamoroso tradimento verso le popolazioni del niscemese per favorire il MUOS!) agevolerebbe ulteriormente con l’abbassamento dal 20 al 13% delle royalties.
Da Tabarelli a Chicco Testa, dal Ministro Guidi a Romano Prodi, passando per Crocetta, l’intenzione è la stessa: trasformare la nostra amata Sicilia in un immenso hub energetico, alla faccia dell’agricoltura, della pesca, dello sviluppo turistico, della nostra salute!
Tutti sappiamo infatti a quali devastazioni si va incontro dove si svolgono attività fossili: trivellazioni, centri oli, petrolchimici, stoccaggi di gas, gasdotti, pozzi di reiniezione, rigassificatori, centrali termodinamiche!
Devastazione dei territori interessati, che poi devono essere bonificati! Con le attività on shore a causa dell’inquinamento atmosferico, del suolo e del sottosuolo, si mette a rischio la salute dei cittadini, degli animali e della flora che vivono nei territori interessati da queste attività. E’ importante considerare che in Italia il cento per cento di tutte le attività petrolifere, dalle trivellazioni, allo stoccaggio, alle raffinazioni, vengono eseguiti in territori abitati. E’ certo, poi, il rischio di inquinamento dell’aria e delle falde acquifere. Si espongono inoltre i territori al rischio sismico permanente da effetto induzione, visto che è stata accertata una correlazione tra trivellazioni, stoccaggio di gas e terremoti (vedi il c.d. rapporto Ichese).
Dove si concentrano le attività petrolifere si mettono a rischio tutti gli investimenti nell’agricoltura di eccellenza e nel turismo. Con le attività petrolifere offshore, parchi, oasi e fauna marina corrono irreversibili pericoli e di conseguenza la pesca ed il turismo balneare ne vengono direttamente minacciati. A Vasto (Chieti) il 12 settembre ’14 sono morti tre capodogli (tutte femmine, di cui uno incinta) a causa dello spiaggiamento che potrebbe essere stato causato, secondo esperti di Legambiente Abruzzo, dall’air-gun” che provoca forti esplosioni ed il disorientamento dei mammiferi che, spaventati, sarebbero finiti intrappolati sui bassi fondali delle coste abruzzesi, a Punta Penne, nella Riserva naturale di Punta Aderci. (Ilfattoquotidiano.it).
Numerosi e documentati sono i disastri di sversamenti di petrolio nell’ambiente. Ricordiamo quello devastante della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon, affiliata alla British Petroleum nelle acque del Golfo del Messico del 2010, che è stato il disastro ambientale più grave della storia americana, avendo superato di oltre dieci volte per entità quello della petroliera Exxon Valdez nel 1989.
Alla domanda “Sfruttamento delle fonti fossili: si o no!?” Renzi ha già risposto prospettando il bengodi delle devastanti attività di fracking per l’estrazione di shale gas, annunciando un ulteriore provvedimento urgente del CdM. Ancora una volta di scarsa fantasia, il solerte premier dei 1.000 giorni e della “riforma” del Tit V, senza batter ciglio si schiera a favore dei brevetti e delle attività della Schlumberger e della Hulliburton. Peccato lui continui ad ignorare che il futuro oltre il fossile bussa da dentro le porte della stessa Confindustria. Nel recente “Paper” del Coordinamento FREE si prevede che con opportuni correttivi nel 2030 si può raggiungere l’obiettivo minimo del 30% dei consumi da rinnovabili, con possibilità di arrivare al 50% del fabbisogno elettrico; il 50% del fabbisogno termico, il 30% del fabbisogno legato ai trasporti. Confindustria stima che “il complesso delle misure di efficienza energetica nei vari settori industriali porterebbe ad un risparmio potenziale tra il 2010 ed il 2020 pari a circa 72 Mtep di energia, per raggiungere il quale si attiverebbe un impatto socio-economico di circa 130 miliardi di euro di investimenti, un aumento della produzione industriale di 238 miliardi di euro ed una crescita occupazionale di oltre 1,6 milioni di unità di lavoro”. Nulla a che vedere con le promesse della SEN, allora! Da notare che 72 Mtep di energia rappresentano il 7% del fabbisogno energetico nazionale, gas e greggio messi insieme. Anche sfruttando tutto il gas ed il petrolio disponibili in mare ed in terra, in Italia avremmo autonomia per soli 12 mesi.
ALLORA CI PRENDONO IN GIRO? A tanta voluta ignoranza ed a tanta arroganza stiamo già lavorando per costruire la più grande opposizione sociale. Per battere la colonizzazione del territorio e del mare, per contrastare lo scippo dei poteri decentratie della partecipazione democratica.
Aderiscono e sottoscrivono:
Coordinamento nazionale No Triv – sez. Sicilia
Comitato No Trivellazione nella Valle del Belìce
Comitato No Triv Palma di Montechiaro
Comitato Ibleo No Triv
Forum siciliano dei movimenti per l’acqua e dei beni comuni
Associazione culturale Riportiamo alla Luce
CEPES
DES Belìce
Mare Amico Agrigento
CRESM
Fonte LinkSicilia
Fingendo di non sapere delle quantità di petrolio e di gas estratte ogni giorno da decenni nei nostri territori, la sua si rivela un’azione di servizio e propaganda rispetto a quanto già stampato a lettere di fuoco nella SEN (Strategia Energetica Nazionale), che prevede il raddoppio delle trivellazioni in Italia, in primis in Basilicata ed in Sicilia; un’azione che dà seguito a quanto previsto dal programma (c.d. “sviluppo Italia”) messo in campo già dal Governo Monti-Passera, con l’approvazione dell’art. 35 del DL 83/2012, facendo seguito al famigerato art 16 del c.d. “decreto per le liberalizzazioni” del marzo dello stesso anno.
Col governo Renzi viene a completa maturazione il ruolo di totale subordinazione assunto dagli esecutivi e dai loro partiti di riferimento nel corso degli ultimi anni. Lo Stato ha da un bel pezzo abdicato all’esercizio di un ruolo “indipendente” sul piano della ricerca di linee strategiche di sviluppo, trasformandosi in mero esecutore di interessi e di scelte che sono ormai saldamente monopolio della petrofinanza.
Le fonti fossili di Basilicata e Sicilia rappresentano anzitutto un valore finanziario, in virtù della necessità per i grandi monopoli e per le grandi banche d’investimento di proiettare costantemente progetti finalizzati all’investimento azionario ed al controllo geopolitico. Basta dare uno sguardo a quanto sta accadendo tra Russia ed Ucraina, nei paesi del Nord Africa, nel vicino Oriente, o al costante braccio di ferro di carattere geostrategico che contrappone i progetti di condotte del gas Nabucco, South Stream, Tap, per comprendere la centralità della questione energetica nella rideterminazione delle alleanze, degli scenari economici dominanti, nella stessa collaborazione militare, con tutto ciò che ne consegue sul piano degli investimenti di guerra e dei rapporti interimperialisti.
Il governo Renzi contribuisce, in nome della supposta funzione antirecessiva dei benefici finanziari ipotizzati dagli investimenti finalizzati alla ricerca ed alla coltivazione di idrocarburi, a rendere secondario ed obsoleto, nell’immaginario collettivo, il fatto che le operazioni di estrazione e trattamento di idrocarburi sono invasive e potenzialmente rischiose sia per l’ambiente che per la salute umana ed animale, così come per l’aumento delle emissioni in atmosfera.
Sotto gli occhi di tutti lo scempio delle aree sottoposte ad estrazioni, che sono fra le più povere d’Italia. La piana di Gela, con i parossistici livelli di inquinamento ed il rischio incombente di 3.500 licenziamenti ne è un triste esempio. Lo spavaldo maestro della promozione del fossile, perseguendo una politica di stampo neoliberista, non tiene conto (anzi nasconde) in accordo con tutta la stampa nazionale, del V° rapporto dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), organo dell’Onu, pubblicato all’inizio del 2014. Il I° rapporto di 25 anni fa, la cui istituzione si avvale di oltre 2500 scienziati e centri di ricerca sul clima in tutto il mondo, portò agli accordi di Kioto firmati l’11 dicembre 1997.
Gli Stati Uniti ne hanno fatto carta straccia (il guerrafondaio George Bush jr, da buon petroliere, preferì disdire tali accordi, firmati da Clinton ma mai ratificati dal Congresso, per aprire la stagione delle guerre in Medio Oriente, per l’accaparramento del petrolio). Il V° rapporto denunzia che nei primi dieci anni del secolo l’incremento delle immissioni dannose per il clima è stato tale da anticipare al 2030 rispetto al 2050, come previsto nel I° rapporto, il raggiungimento del punto oltre il quale non sarà più possibile limitare il riscaldamento globale entro i 2 gradi centigradi e le conseguenze in termini di vite umane ed animali ed i costi per l’economia mondiale diventeranno incalcolabili.
Il grande imbonitore del fossile a tutti i costi forse non sa, o probabilmente fa finta di non sapere, che il mar Mediterraneo è un piccolo mare semichiuso,pertanto vulnerabile nel suo complesso agli effetti che le attività di esplorazione (air-gun) e di coltivazione di idrocarburi ( i fanghi ed i fluidi perforanti sono costituiti da oli sintetici con un certo grado di tossicità, che per prassi ordinaria vengono rigettati nelle acque) potrebbero produrre in qualunque punto del mare in cui si attuerebbero estrazioni.
A fronte di ciò lo Stato italiano non ha ancora recepito la direttiva europea 2013/30/UE e le norme incluse nella convenzione di Barcellona, per la definizione e l’adozione di regole
Ricordiamo inoltre che in Italia alle multinazionali petrolifere viene garantito un regime normativo favorevole alla riproduzione di crescenti profitti, visto che non viene intaccato il predominio delle quote del “dichiarato” estratto, al netto del gettito fiscale e dei costi estrattivi. Alle articolazioni decentrate dello Stato italiano (regioni e comuni) spetta il “concesso” 10% sotto forma di royalties (per le estrazioni in terraferma è applicata un’aliquota di royalties del 10% sulle quantità di petrolio e gas estratti, mentre per le estrazioni offshore le royalties si differenziano in due aliquote: 10% sulla quantità di gas naturale estratto e 7% sul petrolio), oltre al vantaggio che le stesse società hanno sulle franchigie petrolifere: le prime 50 mila tonnellate di olio prodotte annualmente in mare, cosi come i primi 80 milioni di metri cubi di gas, sono esenti dal pagamento di aliquote allo Stato. Con tali vantaggiose condizioni, è aperta alla grande l’assalto al Canale di Sicilia, dove tre piattaforme posizionate lungo le coste estraggono già il 62% di tutto il greggio ricavato dai fondali italiani.
Con l’avallo di politici, amministratori locali, Confindustria, sindacati compiacenti, l’ dello “Sblocca Italia” (ora Decreto-Legge n.133, pubblicato in G.U. il 12 settembre ’14) consente di sguinzagliare fameliche trivelle nei bracci marini ancora scoperti, beffando aree protette e limiti autorizzativi.
15 nuovi pozzi, 5 permessi di ricerca in vigore nel tratto costiero compreso tra Licata e Pantelleria; 10 richieste di permesso per altri 4mila kmq: uno in fase decisoria a sud di Capo Passero, 8 in corso di valutazione ambientale, uno nel tratto di mare tra Marsala e Mazara del Vallo in fase iniziale dell’iter autorizzativo.
Ai primi di giugno Assomineraria, Eni Med Spa, Edison Idrocarburi Sicilia Srl, Irminio Srl ed il presidente regionale ed ex dipendente ENI Crocetta, hanno siglato un protocollo d’intesa da 2,4 miliardi di euro che prevede il rilancio degli investimenti per “l’utilizzo razionale di gas ed idrocarburi in Sicilia”, con l’istituzione di un comitato finalizzato “all’accelerazione degli investimenti nel campo petrolifero“. Il governatore Crocetta dichiara che “con questo accordo contribuiamo al rilancio economico della Sicilia, al miglioramento della situazione finanziaria per effetto dell’incremento delle entrate relative alle royalties, alla fiscalità e diamo una risposta di tipo innovativo che rilancia fortemente l’occupazione con un progetto di investimenti eco sostenibili”. L’impegno è quindi quello di agevolare nuove trivellazioni in Sicilia in cambio delle effimere e ridottissime royalties, che il famoso governatore voltafaccia (pensiamo al clamoroso tradimento verso le popolazioni del niscemese per favorire il MUOS!) agevolerebbe ulteriormente con l’abbassamento dal 20 al 13% delle royalties.
Da Tabarelli a Chicco Testa, dal Ministro Guidi a Romano Prodi, passando per Crocetta, l’intenzione è la stessa: trasformare la nostra amata Sicilia in un immenso hub energetico, alla faccia dell’agricoltura, della pesca, dello sviluppo turistico, della nostra salute!
Tutti sappiamo infatti a quali devastazioni si va incontro dove si svolgono attività fossili: trivellazioni, centri oli, petrolchimici, stoccaggi di gas, gasdotti, pozzi di reiniezione, rigassificatori, centrali termodinamiche!
Devastazione dei territori interessati, che poi devono essere bonificati! Con le attività on shore a causa dell’inquinamento atmosferico, del suolo e del sottosuolo, si mette a rischio la salute dei cittadini, degli animali e della flora che vivono nei territori interessati da queste attività. E’ importante considerare che in Italia il cento per cento di tutte le attività petrolifere, dalle trivellazioni, allo stoccaggio, alle raffinazioni, vengono eseguiti in territori abitati. E’ certo, poi, il rischio di inquinamento dell’aria e delle falde acquifere. Si espongono inoltre i territori al rischio sismico permanente da effetto induzione, visto che è stata accertata una correlazione tra trivellazioni, stoccaggio di gas e terremoti (vedi il c.d. rapporto Ichese).
Dove si concentrano le attività petrolifere si mettono a rischio tutti gli investimenti nell’agricoltura di eccellenza e nel turismo. Con le attività petrolifere offshore, parchi, oasi e fauna marina corrono irreversibili pericoli e di conseguenza la pesca ed il turismo balneare ne vengono direttamente minacciati. A Vasto (Chieti) il 12 settembre ’14 sono morti tre capodogli (tutte femmine, di cui uno incinta) a causa dello spiaggiamento che potrebbe essere stato causato, secondo esperti di Legambiente Abruzzo, dall’air-gun” che provoca forti esplosioni ed il disorientamento dei mammiferi che, spaventati, sarebbero finiti intrappolati sui bassi fondali delle coste abruzzesi, a Punta Penne, nella Riserva naturale di Punta Aderci. (Ilfattoquotidiano.it).
Numerosi e documentati sono i disastri di sversamenti di petrolio nell’ambiente. Ricordiamo quello devastante della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon, affiliata alla British Petroleum nelle acque del Golfo del Messico del 2010, che è stato il disastro ambientale più grave della storia americana, avendo superato di oltre dieci volte per entità quello della petroliera Exxon Valdez nel 1989.
Alla domanda “Sfruttamento delle fonti fossili: si o no!?” Renzi ha già risposto prospettando il bengodi delle devastanti attività di fracking per l’estrazione di shale gas, annunciando un ulteriore provvedimento urgente del CdM. Ancora una volta di scarsa fantasia, il solerte premier dei 1.000 giorni e della “riforma” del Tit V, senza batter ciglio si schiera a favore dei brevetti e delle attività della Schlumberger e della Hulliburton. Peccato lui continui ad ignorare che il futuro oltre il fossile bussa da dentro le porte della stessa Confindustria. Nel recente “Paper” del Coordinamento FREE si prevede che con opportuni correttivi nel 2030 si può raggiungere l’obiettivo minimo del 30% dei consumi da rinnovabili, con possibilità di arrivare al 50% del fabbisogno elettrico; il 50% del fabbisogno termico, il 30% del fabbisogno legato ai trasporti. Confindustria stima che “il complesso delle misure di efficienza energetica nei vari settori industriali porterebbe ad un risparmio potenziale tra il 2010 ed il 2020 pari a circa 72 Mtep di energia, per raggiungere il quale si attiverebbe un impatto socio-economico di circa 130 miliardi di euro di investimenti, un aumento della produzione industriale di 238 miliardi di euro ed una crescita occupazionale di oltre 1,6 milioni di unità di lavoro”. Nulla a che vedere con le promesse della SEN, allora! Da notare che 72 Mtep di energia rappresentano il 7% del fabbisogno energetico nazionale, gas e greggio messi insieme. Anche sfruttando tutto il gas ed il petrolio disponibili in mare ed in terra, in Italia avremmo autonomia per soli 12 mesi.
ALLORA CI PRENDONO IN GIRO? A tanta voluta ignoranza ed a tanta arroganza stiamo già lavorando per costruire la più grande opposizione sociale. Per battere la colonizzazione del territorio e del mare, per contrastare lo scippo dei poteri decentratie della partecipazione democratica.
Aderiscono e sottoscrivono:
Coordinamento nazionale No Triv – sez. Sicilia
Comitato No Trivellazione nella Valle del Belìce
Comitato No Triv Palma di Montechiaro
Comitato Ibleo No Triv
Forum siciliano dei movimenti per l’acqua e dei beni comuni
Associazione culturale Riportiamo alla Luce
CEPES
DES Belìce
Mare Amico Agrigento
CRESM
Fonte LinkSicilia
Fonte: free-italia.net
Nessun commento:
Posta un commento