Washington, 17 lug - Il Fondo Monetario Internazionale ha dato il benestare per un prelievo forzoso nei conti correnti dei cittadini dei Paesi dell’area euro in difficoltà con lo scopo di ripianare parte del debito pubblico accumulato. Parziale abbattimento del debito che nella sostanza sarebbe pagato dai cittadini, dai fondi pensione, dal risparmio gestito e dalle assicurazioni.
Facile capire quali potrebbero essere le nazioni a rischio: Italia in testa – visto l’inarrestabile crescita del debito pubblico e i magri risultati ottenuti fin qui sul piano economico (crescita assente, alta disoccupazione, consumi bloccati) – ma anche Portogallo, Spagna, Slovenia, Grecia e Francia.
Il progetto prevede un prelievo di almeno il 10% sui conti correnti con giacenze superiori ai 100 mila euro. In pratica la riedizione di ciò che successe a Cipro a marzo dello scorso anno.
Ma c’è di più, il Fmi insiste affinché venga applicata una tassa sul debito generalizzata per un importo leggermente più modesto per ogni famiglia, anche su quelle che dispongono solo di pochi risparmi. Verrebbero così colpiti tutte le tipologie di conti e per qualsiasi giacenza.
Su quest’ultimo punto i partiti appartenenti al Pse (socialisti e socialdemocratici) sarebbero più propensi a colpire i risparmi medio alti. Ma sappiamo bene che queste decisioni non sempre vengono vagliate dai singoli governi locali ma imposte dall’alto da organismi sovranazionali (Bce, Commissione europea, lobby finanziarie, etc.).
Si discute anche in merito al periodo temporale in cui applicare questa misura: c’è chi la vorrebbe nell’immediato, già il prossimo autunno, e chi invece la procrastina per la prossima primavera. Tempi celeri, se non quasi immediati, per un’operazione che riporta indietro l’Italia al 1992, quando l’allora presidente del consiglio Giuliano Amato approvò un decreto legge da 30 mila miliardi di lire in cui si stabiliva, tra le altre cose, il prelievo forzoso del 6 per mille dai conti correnti bancari di tutti i cittadini italiani. Il tutto avvenne in maniera repentina, all’opposto rispetto alle consuete tempistiche della politica nostrana, nella notte tra il 9 e il 10 luglio del 1992. L’autorizzazione arrivò tramite un decreto legge di emergenza emanato addirittura il giorno dopo: l’11 luglio. Era un momento di crisi, la lira era aggredita dalla speculazione internazionale, i mercati si accanivano e bisognava fare qualcosa.
Non è nata tra i migliori auspici questa seconda Repubblica che in poco più di vent’anni ci ha elargito soltanto momenti di crisi economica alternati ad altri di stagnazione, con una crescita della ricchezza complessiva del paese tra le più misere d’Europa. E i rimpianti per quegli anni ’80, in cui si godeva di maggiore autonomia e qualche briciolo di sovranità economica in più, aumentano in considerazione del fatto che – sì, c’era corruzione in ogni dove (ma anche oggi non è da meno) – nonostante tutte le obiezioni del caso, l’Italia era la quinta potenza industriale del pianeta e il tasso di disoccupazione era quasi la metà di quello odierno.
In attesa che si concretizzi quest’ennesima mazzata alle spalle degli ignari italiani, che imperterriti continuano a dare fiducia al paroliere fiorentino e ai suoi sodali del Pd, non ci resta che sperare in una difficile, impossibile e forse utopistica inversione di tendenza delle sorti di questa nazione.
Giuseppe Maneggio
Fonte:http://www.ilprimatonazionale.it/
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