giovedì 17 luglio 2014

CLANDESTINI SPA: IL BUSINESS DEL TRASPORTO MIGRANTI FA GOLA. HANNO INVENTATO UNA NAVE “PRIVATA” PER PRENDERLI DIRETTAMENTE A CASA LORO. SCOMMETTI CHE PAGHEREMO NOI ANCHE QUELLA?

La prima nave privata per soccorrere i migranti
Si chiama Moas. L’idea è di una imprenditrice italiana che vive a Malta e di suo marito
Partirà il prossimo mese una nuova operazione di aiuto e salvataggio per i migranti del Mediterraneo. Si chiama Moas, acronimo di Migrant offshore aid station, ed è la prima nel suo genere ad essere finanziata da privati. Ad annunciarlo all’agenzia Reuters e al quotidiano The Guardian è Regina Catrambone, una imprenditrice italiana nel campo delle assicurazioni stabilitasi 7 anni fa a Malta insieme al marito statunitense Christopher, ha fondato la nuova stazione di aiuto che sarà capitanato da Martin Xuereb, ex capo delle forze militari maltesi.
La nave, acquistata in Virginia e ribattezzata Phoenix 1, è lunga 43 metri, sarà equipaggiata con un ponte di volo e si avvarrà di due droni, Schiebel S-100 csamcoper, aeromobili a pilotaggio remoto (velivoli che viaggiano senza pilota ma grazie a un computer di bordo) che permetteranno di visualizzare i migranti in difficoltà in mare molto tempo prima rispetto ai tradizionali servizi di ricerca e salvataggio. I droni possono infatti volare a una velocità di 240 chilometri orari e rimanere in volo anche per più di sei ore.
Partirà il prossimo mese una nuova operazione di aiuto e salvataggio per i migranti del Mediterraneo. Si chiama Moas, acronimo di Migrant offshore aid station, ed è la prima nel suo genere ad essere finanziata da privati. Ad annunciarlo all’agenzia Reuters e al quotidiano The Guardian è Regina Catrambone, una imprenditrice italiana nel campo delle assicurazioni stabilitasi 7 anni fa a Malta insieme al marito statunitense Christopher, ha fondato la nuova stazione di aiuto che sarà capitanato da Martin Xuereb, ex capo delle forze militari maltesi.
La nave, acquistata in Virginia e ribattezzata Phoenix 1, è lunga 43 metri, sarà equipaggiata con un ponte di volo e si avvarrà di due droni, Schiebel S-100 csamcoper, aeromobili a pilotaggio remoto (velivoli che viaggiano senza pilota ma grazie a un computer di bordo) che permetteranno di visualizzare i migranti in difficoltà in mare molto tempo prima rispetto ai tradizionali servizi di ricerca e salvataggio. I droni possono infatti volare a una velocità di 240 chilometri orari e rimanere in volo anche per più di sei ore.
«Sono persone disperate – dichiara Regina Catrambone – noi vogliamo soltanto essere sicuri che non muoiano nella loro disperazione. Molte persone mi dicono che sto solo sprecando soldi ma penso che si tratti di qualcosa di più della parabola del seminatore. Vogliamo essere di ispirazione ad altre persone, soprattutto in questo periodo di crisi economica in cui si tiene di più ai soldi che alla vita umana». E racconta di aver preso insieme al marito la decisione dopo aver visto in televisione papa Francesco nella sua visita a Lampedusa che «guardando dritto nella telecamera, diceva che tutti quelli che hanno la possibilità di aiutare i migranti dovevano farlo».
Il Moas è un’organizzazione non governativa che si occuperà di fornire assistenza e aiuto, anche medico, ai migranti in difficoltà che attraversano il mare nei loro lungo viaggi alla ricerca di fortuna. A bordo opererà un gruppo internazionale composto da professionisti, medici, operatori con esperienza in campo marittimo e personale paramedico, in completa conformità con la leggi europee e internazionali, come la Carta dei diritti fondamentali e la Convenzione di Ginevra relativa allo status di rifugiato.
«Grazie agli aeromobili a pilotaggio remoto saremo in grado di vedere se i migranti hanno bisogno di coperte, cibo o acqua e noi saremo pronti a provvedervi», spiega Martin Xuereb. Il Moas non vuole competere con le operazioni di salvataggio italiane e maltesi ma offrire assistenza alle persone in difficoltà fino all’arrivo delle autorità competenti. «Useremo tutte le nostre risorse – si legge nel sito dell’organizzazione – per assistere i rispettivi centri di salvataggio e per dare una risposta alla sofferenza, nonché salvare vite, quando necessario».
I due coniugi non svelano la spesa sostenuta finora, anche se l’agenzia britannica parla di «milioni di euro» per l’acquisto e l’allestimento della Phoenix1. Ma ora il piano di Regina e Christopher è quello di trovare nuovi finanziamenti con lo strumento delcrowdfunding. «Chiedere dei soldi prima avrebbe significato perdere troppo tempo – conclude Regina – e la sensazione è che sia già troppo tardi».
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FONTE:
http://www.linkiesta.it/migrant-offshore-aid-station

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