29 luglio - [...] Per gli agenti di polizia della sezione profughi di via Cutini, quello di ieri è stato davvero un pomeriggio da dimenticare. «Nell’ufficio non è scoppiato il panico solo grazie alla professionalità dei colleghi», dice Assuntino Macchia, membro del direttivo provinciale del Siulp, uno degli agenti che si è trovato a dover gestire una situazione paradossale e pericolosa, faccia a faccia con una montenegrina affetta da tubercolosi polmonare bacilifera, che invece di essere sott’osservazione al San Camillo Forlanini, ha pensato bene di recarsi in via Cutini per chiedere un permesso di soggiorno per motivi umanitari.
L’allarme Tbc è scattato alle 14. La donna, residente in un campo namadi della Capitale, era stata dimessa dal reparto Malattie infettive dell’ospedale Forlanini il 24 luglio scorso con l’obbligo dell’«isolamento respiratorio domiciliare», una rigida prescrizione che si applica nei casi in cui c’è un alto rischio di contagio. L’«isolamento respiratorio domiciliare», a leggere le stesse disposizioni dell’azienda sanitaria del San Camillo Forlanini, prevede: «Dormire e mangiare in una camera separata dal resto della casa da una porta chiusa; l’utilizzo obbligatorio della mascherina; l’areazione del bagno dopo l’uso e il divieto assoluto di uscire da casa se non per controlli clinici». «Come è possibile – si chiede Macchia imbestialito – che un ospedale dimetta una persona malata di Tbc con l’obbligo dell’isolamento respiratorio domiciliare, sapendo di trovarsi di fronti a una nomade residente in un campo nomadi? Non sanno i medici che nella maggior parte dei campi non ci sono case ma baracche? Non sanno che nelle baracche non ci sono né stanze né porte? Sanno lì al Forlanini che nei campi nomadi ci sono bagni chimici e non stanze da bagno?».
«La signora – raccontano gli agenti ancora agitati per il pomeriggio trascorso con il terrore di essere contagiati – si è presentata in via Cutini con una mascherina non idonea e ha atteso in sala insieme ad altre 85 persone, tra cui c’erano dei bambini. Una sala che riusciva a malapena a contenere quelle persone. Poi, quando è arrivato il suo turno, davanti allo sportello si è tolta la mascherina per parlare con i nostri operatori. Solo allora, alla domanda del perché portasse la mascherina, abbiamo saputo che era affetta da Tbc».
Immediata, a quel punto, la chiamata alla locale Asl, la Roma B, che ha risposto poco dopo con un fax chiedendo da quante ore la signora si trovasse negli uffici della sezione Profughi a contatto con gli agenti e con gli altri stranieri. «La trasmissione del germe patogeno – ci hanno spiegato nel fax, racconta Macchia – è possibile solo dopo una o due ore di vicinanza tra soggetti. Noi però non sapevamo da quanto tempo la donna fosse nella sala d’attesa. Nel fax l’Asl ci chiedeva anche di inviare immediatamente l’elenco delle persone che erano state a contatto con lei. Anche questo non era possibile saperlo. Alcuni aveva sbrigato le pratiche ed erano già andati via». Agli agenti non resta che portare lontano dalle altre persone la montenegrina, indossare le mascherine e chiamare il 118.
«In casi come questi – spiega ancora Macchia – non sappiamo agire. Sappiamo solo che bisogna mantenere la calma. Non esiste un protocollo su come bisogna comportarsi in questi casi. Abbiamo mascherine inutili, come quella che indossava la donna con la Tbc. Il personale del 118 ci ha detto che avere o non avere questo tipo di mascherine è la stessa cosa. Qui non abbiamo neanche il disinfettante. Un collega è dovuto andare al supermercato a comprare uno di quelli che si usano per pulire i bagni. L’unica cosa che ci hanno detto dal Viminale è stato di fare un elenco degli agenti entrati in contatto con la donna. Ma si rendono conto, ai piani alti, di quante persone passano ogni giorno nel più grande ufficio per l’immigrazione d’Italia? Quanti potenziali malati? E si risparmia pure sulle donne delle pultizie. Qui puliscono un giorno sì e l’altro no!».
Ma la «giornata qualunque» dei polizotti non è ancora finita. A metà pomeriggio si recano al Policlinico Umberto I, dove era stata trasportata poco prima la nomade, per sottoporsi tutti alla profilassi. Chiedono di lei ai medici. «Non c’è – rispondono – È scappata».
Matteo Vincenzoni – il tempo
Fonte:http://www.imolaoggi.it/
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